CUPOLE UNIVERSALI

Proprio perchè viviamo in un’epoca tormentata dai fanatismi e dagli estremismi religiosi che pensano ed eseguono stragi e persecuzioni, più forte emerge la necessità di contrastare questa barbarie con un messaggio capace di unire tutte le culture, i popoli, le religioni.
Certamente  le cupole-non una cupola specifica- ma le cupole che identificano culture diverse ed una medesima ricerca del Sacro, possono farsi veicolo di un messaggio universalmente comprensibile, avvicinare i linguaggi, le esperienze, la comprensione reciproca.
Questo è ciò che cerco di fare con le mie opere più recenti. Di per sè l’arte rappresenta un linguaggio universale, se capace di suscitare emozioni estetiche significative. Se poi il tema di un linguaggio artistico è esso stesso universale, come lo sono in questo caso le cupole, la possibilità che vi sia un messaggio comprensibile nei vari continenti e condiviso, o volto ad una condivisione sempre maggiore, aumenta sensibilmente e può rivelarsi un potente mezzo di mediazione culturale, oltre che autentica testimonianza d’arte, che educa e nutre lo spirito, ma pacifica anche molte ansie somatizzate.

Aiutare quindi il diffondersi di questo messaggio in forma artistica sembra poter essere un’occasione culturale di enormi possibilità, in ambiti territoriali e culturali lontani, ma anche, grazie ai simboli comuni del Sacro, decisamente più vicini. Sacro che è poi la nostra Storia, dell’Umanità intendo, poichè anche i più laici non possono ignorare la presenza simbolica forte e unificante che nella cupola, nei secoli, molti popoli hanno voluto esprimere: come luogo di protezione, come simbolo di perfezione, come occasione d’arte di magnifici architetti, tesi alla ricerca della bellezza ma anche alla concretizzazione di un’esigenza dello spirito.

IL SENSO E LA SENSATEZZA DELLA RICERCA DEL SACRO

Davanti alla sequenza delle mie ultime opere, quelle inerenti la tematica del Sacro, variamente declinato, qualcuno potrebbe chiedersi e chiedere la ragione dell’insistenza specifica su un argomento sicuramente delicato e complesso, oltre che palesemente fuori moda.
Cercherò di dare motivazioni sia comprensibili che non banali a tale possibile interrogativo.
Perchè dunque occuparsi del Sacro? Ci sono legioni sempre più numerose, agguerrite ed anche a volte un tantino spocchiose (mi sia concessa la licenza), di atei dichiarati o di atei impliciti e forse anche più estranei dei precedenti a qualunque coinvolgimento dialettico. Vorrei partire da questi, per i quali la tematica del Sacro probabilmente viene etichettata come stravaganza retrò, legata a superstizioni arcaiche, contrarie al progresso della scienza ed al benessere psichico delle comunità umane.

Pongo una domanda semplice: ed essenziale.
Se il Sacro è, come credo che sia , la testimonianza storicamente rappresentata in religioni e forme culturali diverse, del senso del trascendente, occorre chiedersi se questo,dell’interrogarsi  umano  circa il mistero della trascendenza, sia frutto di superstizioni progressivamente superabili nel cammino del Progresso e della Consapevolezza scientifica, o se invece non sia un interrogativo costitutivamente ineludibile.
Gli scienziati tendono a non porsi domande circa l’origine dell’universo: essi si chiedono soltanto  quando l’universo è nato e come tende ad evolversi. Sono domande accessibili al procedimento scientifico. Al quale tuttavia sfugge del tutto la Domanda: come e perchè questo universo è apparso.
Questo interrogarsi per la scienza è  insignificante, ma per l’intelligenza umana è invece il  fondamento del pensare e del sentire della nostra specie.

Se quindi l’universo è trascendente all’uomo- perchè il suo senso ultimo non gli appartiene nè l’uomo ha dato origine all’universo- appartiene perciò di necessità ad ognuno di noi il senso di dipendenza da qualcosa di cui non comprendiamo l’origine e tantomeno l’essenza costitutiva, sia essa finalistica o meno.
Abbiamo dato quindi il nome di Sacro a tutto ciò che, nel corso dei millenni, ha dato espressione  al mistero di cui l’umanità non ha le chiavi nè la  facoltà di  comprensione riducibile alla misura puramente numerica e fisica.
Gli atei, gli agnostici, i  cosiddetti disincantati risponderanno che si vive benissimo, ed anzi meglio, senza porsi di questi interrogativi inutili ed oziosi. Ed infatti tutto il restante repertorio del mondo animale vive benissimo senza porsi domande sul trascendente e senza testimoniare alcuna esigenza del Sacro. Tutto il resto del mondo animale. Appunto.
Varie religioni hanno dato luogo a diverse simbologie del Sacro, storicamente determinate e variamente evolutesi . Ma non è neppure indispensabile l’identificazione con un credo religioso specifico per testimoniare comunque l’esigenza di una sacralità intimamente connessa con l’essere umano, affinchè esso non neghi , con conseguenze alienanti e distruttive, la propria dipendenza da qualcosa che lo trascende di gran lunga. Il mancato riconoscimento di tale dipendenza sta all’origine di qualsiasi ideologia delirante e di qualsiasi prassi senza giustizia e senza limiti.

Queste considerazioni, di ordine filosofico, non sono certo indispensabili per confrontarsi con la mia opera pittorica più recente. Tuttavia non posso negare nè la mia matrice culturale nè l’intenzione di testimoniare ciò che mi sembra razionalmente ed emotivamente ineludibile, nel difficile cammino di una umanità troppo corteggiata da finte certezze. L’arte può aiutare ad essere più vicini alle sorgenti della vita, al mistero dell’essere, alla bellezza  che pacifica molte inquietudini.

RICERCA DEL SACRO

Ricerca del sacro, ai giorni nostri potrebbe significare  anche, semplicemente, guardare un cielo stellato e sentire la propria finitezza, confrontarsi con un mistero che trascende totalmente il nostro orgoglio e la nostra superbia.
Come diceva lo Psicologo Analista svizzero Carl Gustav Jung, se si rimuove un componente costitutivo della nostra  dinamica psichica, questo non solo non sparisce, ma in qualche modo è come se agisse con maggior forza dall’angolo buio in cui è stato relegato, facendo sentire l’esigenza di “esserci” attraverso manifestazioni  di disturbo della coscienza che vuole ignorarlo e segnali  che, se non ascoltati, comportano problemi  e distorsioni ideative, percettive, emotive.
La rimozione della dimensione del Sacro è forse allora alla base di problematiche peculiari del nostro tempo, come l’uso di sostanze psicotrope (droghe), la violenza gratuita ed immotivata, la sessualità priva di dolcezza emotiva, l’esercizio del sopruso e l’abuso arrogante del potere. La ricerca spasmodica del denaro e dell’apparire. Surrogati, tutti, di quel confronto con la parola del mistero e del Sacro che ci ricondurrebbe all’umiltà di uomini non onnipotenti e perciò non arroganti e neppure disperati.

Il materialismo denunciato dai testimoni  del sacro appartenenti a diverse culture, geograficamente lontane ma vicine sul punto dell’esigenza di un ascolto di valori diversi da quelli puramente numerici  o illusoriamente razionali, è un problema che si accompagna anche alla globalizzazione mercantile nei suoi aspetti più deteriori.
Il fiorire di sette dalla bizzarra  e spesso manipolativa prassi e ritualità testimonia per altro il risvolto deteriore di un’esigenza di sacralità confusa, ma comunque non cancellabile dalla suggestione potente dei media, che seguono esclusivamente la propria logica di cinico uso di una tecnologia potentissima che si autocelebra come fosse la nuova divinità, con i risultati di appiattimento ad ogni livello che non è certo difficile poter constatare.
L’emergere nella mia pittura in modo sempre più fortemente testimoniato  della tematica del Sacro, intende far si che anche un’espressione artistica possa suggerire, attraverso la possibile suggestione delle proprie immagini, la necessità per l’uomo contemporaneo di riappropriarsi di una dimensione essenziale della propria vita psichica e spirituale. Questo, attraverso un messaggio che non appartiene ad una singola cultura o espressione religiosa, ma che può e vorrebbe accomunare tutti i popoli attraverso un messaggio di non alienazione e una simbolica (la cupola) comprensibile a tutti.

VESTIGIA DEL SACRO

Questa serie di quadri, per lo più di piccole dimensioni (24 x 24), prosegue sul filone della tematica delle cupole ed introduce una riflessione sulla presenza-assenza del sacro nel nostro tempo, nelle religioni, nel pensiero e nel vissuto dei popoli. Credo sia opportuno chiarire che quando menziono il Sacro, non intendo in alcun modo far si che a questo termine venga riferito il richiamo ad esigenze etiche, a comportamenti in qualche modo prescritti. Questo appartiene ad altre istanze, non a questa che sorge in ambito estetico e, se pur rimanda all’interiorità dell’uomo, lo fa perché  anche questo ambito non può eludere il senso primo ed ultimo della vita, in tutte le sue manifestazioni e forme espressive. Se l’estetica può muovere passi che siano anche domande sull’essenza dell’uomo,-e questo è il caso richiamato dalla tematica del Sacro in molte mie opere recenti- questo vale come un richiamo che prescinde dalle convinzione ascetiche piuttosto che edonistiche di ogni singolo individuo. Anche perché un certo tipo di edoné non contraddice la sacralità profonda ed il mistero della vita e dell’universo.

Il filosofo Nietsche, nel secolo scorso ha certificato la morte di Dio, il dramma anche legato a questo evento che parte dalla ragione ma coinvolge l’emozione.Il senso del sacro, che ha accompagnato la storia dell’uomo nei millenni, declina, si fa evanescente. Quell’angolo riposto di un mistero inarrivabile e non nominabile neppure ha fatto posto, persino nei rituali religiosi a noi più consueti, ad una finta razionalità onnicomprensiva.
Come scrive Umberto Galimberti in “Le Ombre del Sacro” (pag. 58): “il posto lasciato vuoto dal sacro è oggi occupato da parole religiose che, chiuse nel calcolo dei valori, si limitano a circoscrivere il recinto dell’agire. Così l’essenza dell’uomo si depaupera quando, all’ombra delle religioni che non sembrano aver altre preoccupazioni se non di natura etica, cerca di dar senso al dolore, di educare all’amore, di prepararsi alla morte, dimenticando il richiamo di Rilke: I dolori sono ignoti, l’amore non si impara, l’ingiunzione che ci chiama ad entrare nella morte rimane oscura. Solo il canto sulla terra consacra e celebra”Ebbene, anche il laico e razionalissimo Galimberti, avverte il senso di una perdita di qualcosa che è il mistero più profondo ed inestricabile che può legare l’uomo all’avventura di vita che lo riguarda.

Sicché questa serie di cupole tormentate, nel tratto, nella materia, lacerate ed incerte, che conservano nella presenza di lacerti dorati il simbolo di una preziosa essenza del sacro, rimanda ad un sentimento di tormento e di perdita di quella lontananza incolmabile, ma simbolicamente irrinunciabile, di un mistero che le religioni in particolare dovrebbero preservare e che invece, anch’esse, non sanno più  testimoniare.Il riferimento non è ad alcuna religione in particolare: la testimonianza del mistero si è dissolta: queste cupole richiamano il dramma di questo passaggio, testimoniano forse una nostalgia del simbolo, che costituisce il substrato fondante anche del pensiero più compiuto dell’uomo, ma soprattutto del suo sentimento, ammirato ed intimorito,  di fronte a ciò che lo trascende.

Roberto Perotti

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